La Pitina

State per fare la conoscenza di un salume dal sapore unico, un prodotto che meriterebbe maggiore fama e che è al di là di ogni dubbio uno dei salumi più caratteristici e al contempo più misconosciuti del nostro Paese.

Mi riferisco alla pitina la cui origine, come quella di tanti prodotti regionali della gastronomia italiana, era di consentire alle popolazioni montane di un circoscritto territorio del Friuli Venezia Giulia, di conservare parti del bottino di caccia per sfamare le famiglie nei periodi in cui cacciare sarebbe stato impossibile a causa del forte innevamento del territorio. Dopo aver sminuzzato al coltello la polpa della cacciagione se ne facevano delle grossolane polpette (pitina è una sorta di diminutivo nel lessico locale di polpetta, appunto) e, non avendo disponibile il budello di maiale impossibile da allevare a quelle latitudini, invece di insaccarle come la maggior parte dei salumi, per dotarle di una sorta di copertura protettiva le pitine venivano passate nella farina di mais e in seguito disposte attorno al focolare ad affumicare.
La pitina, che conosce anche nomi diversi a seconda della località di produzione (peta, petuccia), oltre ad essere un presidio Slow Food, ha recentemente ottenuto la certificazione IGP, l'Indicazione Geografica Protetta, ed è prodotta esclusivamente in provincia di Pordenone nei comuni montani di: Andreis, Barcis, Cavasso Nuovo, Cimolais, Claut, Erto e Casso, Frisanco, Maniago, Meduno, Montereale Valcellina, Tramonti di Sopra e Tramonti di Sotto.
Preferisco non aggiungere altro sulle sue formidabili caratteristiche organolettiche, le parole non le renderebbero giustizia.
Vi invito a visitare i luoghi di produzione, che sono tanto affascinanti quanto esterni ai più frequentati circuiti turistici.
Dove potrete ovviamente degustare la pitina.
Ne vale la pena credetemi.

[Mario D'Aurizio]